Iniziative ovunque, anche quest'anno, nel paese e all'isola d'Elba, per la ricorrenza dell'8 marzo. La più significativa per l'Elba è sicuramente la mattinata di dibattito e riflessione organizzata dal Coordinamento donne della Cgil all'Hotel Airone, a Portoferraio, nella giornata di sabato naturalmente.
Ma non è tanto di questo che vogliamo parlare adesso quanto piuttosto proporre uno sguardo di donna sulla guerra e su quanto sta avvenendo nel mondo.
Ascoltando i Tg italiani ci imbattiamo spesso, in questi giorni, in una domanda che ci viene proposta tra il serio ed il faceto: se George Bush fosse una donna ci sarebbe la guerra? La risposta è sempre no, ed è normale che sia così.
Qualcuno potrebbe però non essere d'accordo, magari pensando alla consigliera del presidente americano, Condoleezza Rice... Certo è comunque che, al di là dei singoli casi, il mondo ha, in termini generali, senza dubbio bisogno di una maggiore presenza del buon senso, della sensibilità e dell'altruismo femminili...
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Le guerre sono negazione di diritti per tutti
Le guerre, soprattutto quelle moderne, mietono migliaia di vittime tra la popolazione civile, tra le donne, i vecchi e i bambini, i quali, quasi mai, hanno potuto scegliere da che parte stare. La stessa globalizzazione, finora, è stata portatrice di nuovi sfruttamenti, abusi e diseguaglianze piuttosto che di nuovi diritti.
Le guerre portano con sé violenza e razzie sul territorio e sulle persone. Le donne sono da sempre vittime, oltre che delle armi, anche di abusi sessuali, stupri, pulizie etniche e comunque di sfruttamento del loro corpo da parte dei vincitori.
Quando incombono prospettive di guerra si riducono le risorse a disposizione e, in genere, si taglia sul "superfluo", a cominciare dallo stato sociale. Nei paesi in guerra, dove esso è già ai minimi termini, salute, scuola, infanzia, alimentazione rischiano di vedersi azzerare i finanziamenti nazionali e internazionali.
Anche per quelle donne, oltre che per tutte noi, diciamo no alla guerra e sì, invece, ai diritti. Non è facile per noi immaginare il dolore di quelle donne e non è paragonabile con il loro il nostro senso di ingiustizia e di pericolo. Tuttavia crediamo che sia complessivamente in atto un arretramento dei diritti e delle opportunità per tutte le donne del mondo.
Un liberismo economico sfrenato, fondato sulla flessibità estrema del mercato del lavoro e una sostanziale riduzione dello stato sociale, vogliono riconsegnare le donne alla precarietà, al lavoro accessorio a quello del coniuge e al compito tradizionale di cura della famiglia. Saranno loro le destinatarie dei lavori più instabili. Saranno loro, insieme ai giovani, le destinatarie, alla fine, di pensioni da fame.
Su di loro non si abbattono violenze collettive ma violenze private, spesso familiari, come la cronaca spessissimo dimostra. Su di loro non vi sono mutilazioni sessuali, ma il loro corpo è esposto, usato, venduto. Per loro non è un problema la fame ma, soprattutto per le giovani, combattere anorressia e bulimia, segno di un rifiuto intimo del proprio corpo inadeguato.
Serve una riflessione profonda e collettiva. La specie umana ha sempre trovato vie di fuga dalle crisi. Ma siamo ora ad un punto di non ritorno, servono scelte radicali, un cambiamento vero. Per tutti. Un orizzonte di libertà. Un orizzonte di felicità.
Marina Bergamin
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